La stirpe messianica. Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole

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  1. Igno-rando
     
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    La stirpe messianica. Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole





    La teoria del matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena non è una trovata dell’era moderna; nell’Alto Medioevo, storici e cronisti della Chiesa romana riportavano, anche se non a loro favore, di “coloro nella linea di sangue di Gesù tramite sua madre”. Maria Maddalena, per tutto questo periodo, fu ricordata come la “sposa di Cristo”. I loro discendenti erano noti come Desposyni (“eredi del Signore”). Ancor più affascinante è la storia della loro prole e della sistematicità con cui re, imperatori romani e papi si dedicarono nel cancellarne le tracce. Il perché di ciò è da ricercare tra interessi di potere e degli eredi nella storia di Israele. Del I secolo d.C. appartiene l’editto che ordinava: “Tra essi non deve restarne nessuno”. I Romani non si sono mai riferiti a Gesù e ai suoi apostoli in termini positivi, come dimostrano gli Annali di Tacito, in cui la missione di Gesù viene definita una “pratica vergognosa”. Gli Annali collocano Gesù nella storia al di fuori del ritratto cristiano e in questo stesso modo l’esistenza reale di Cristo in quell’epoca viene confermata da un documento parallelo dei suoi nemici, la cui percezione del personaggio era completamente diversa da quella degli autori dei Vangeli. Negli annali romani i suoi seguaci sono definiti “notoriamente depravati” e la sua fede soltanto “micidiale superstizione”. Raccontando della nascita del movimento cristiano, il testo ebraico fa riferimento a “Giacomo, il fratello di Gesù, che era chiamato Cristo”. Questo conferma gli Annali romani che identificano ugualmente Gesù con il Cristo (dal termine greco christos, ”Re”).

    Ma è anche la storia di Erode Il Grande, del Re Erode citato negli Atti degli Apostoli.



    Gli “altarini” scoperti

    L’allora professore di Storia antica presso la Columbia University, Morton Smith, in occasione della stesura di una tesi per un dottorato alla Hebrew University di Gerusalemme, sotto invito del custode del Santo Sepolcro, si recò nel 1941 a visitare il vicino monastero greco a Mar Saba. Affascinato dalle differenze tra il rituale monastico e il culto ecclesiastico tradizionale, Smith ritornò nel 1958 per continuare le sue ricerche. Mentre catalogava la collezione dei manoscritti del monastero, scoprì una lettera importante del II secolo indirizzata da Tito Flavio Clemente Alessandrino ad un collega di nome Teodoro, la quale discuteva dei carpocraziani, un gruppo alessandrino non ortodosso. Chiamati così da Carpocrate, essi non seguivano la dottrina paolina, adottata poi da Roma, ma si ispiravano a Maria Maddalena, Maria di Betania, Marta di Betania e la loro compagna Salomè basandosi sul Vangelo di Marco, il Vangelo di Tommaso e il Vangelo Segreto di Marco.

    Il concetto stesso di predicazione femminile, secondo Clemente, era assolutamente peccaminoso:

    A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perché, anche se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d’accordo con loro. Perché non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che pare vera secondo le opinioni umane non deve essere preferita alla vera verità, quella in armonia con la fede […]Con loro non si deve mai acconsentire; né, quando propongono le loro falsità, si dovrebbe riconoscere che il Vangelo segreto è di Marco, bensì lo si deve negare con un giuramento. Poiché non tutte le cose vere debbono dirsi agli uomini.



    Clemente continua:

    In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti, e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti. Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria portando i suoi scritti e quelli di Pietro, e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza. Egli, perciò, compose un Vangelo più spirituale a uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, né mise per iscritto gli insegnamenti gerofantici del Signore; ma alle storie già scritte altre ne aggiunse e inoltre introdusse certi detti dei quali, come mistagogo, sapeva che l’interpretazione avrebbe guidato gli ascoltatori nell’intimo santuario della verità celata dai sette (veli). Così, insomma, egli preordinò le cose, né malvolentieri né incautamente, secondo il mio giudizio, e morendo lasciò la sua composizione alla chiesa di Alessandria, dov’è tutt’ora scrupolosamente custodita, e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri.



    Questa è una lampante ammissione da parte della setta paolina dell’esistenza di una netta differenza tra “la verità” e “la verità secondo la fede. Il “Vangelo segreto” a cui si riferisce Clemente, era una sezione che da quel momento in poi venne eliminata dal Vangelo di Marco, quindi non compare nei Vangeli sinottici di Matteo e Luca. Presente ora solo nel Vangelo di Giovanni, ma in forma leggermente diversa, si tratta del brano che riferisce di Maria di Betania e Marta di Betania ai tempi della resurrezione di Lazzaro per opera di Gesù. Quali sono dunque le cose che Marco non scrisse perché non dovevano essere dette? Probabilmente, quelle relativa all’esistenza di una seconda Sacra Famiglia, riguardante Gesù il Cristo, la sua sposa e la loro prole e di chi fossero, precisamente, i componenti. E di tutti gli interessi che ruotavano attorno alla storia di Israele e alla stirpe messianica davidica. Per illustrare ciò è necessario procedere in punta di piedi e, per farlo, bisogna considerare il contorno a riguardo, per poi giungere alle prove che, sorprendentemente, comprendono anche i dettagli culturali del tempo; ad esempio, il rito dell’unzione del capo o dei piedi o l’uso del velo nelle donne di alto rango, ma anche mezzo attraverso cui la verità viene “svelata” (i sette veli).



    Saranno tuttavia colti solo i dettagli più utili a questa ricerca.

    Riprendendo da Clemente:



    A te, quindi, non esiterò a rispondere con ciò che mi hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo, ad esempio, dopo “ed essi erano per via diretti a Gerusalemme” e ciò che segue, fino a “dopo tre giorni egli risorgerà, (il Vangelo segreto) contiene quanto segue parola per parola: “Ed essi giunsero a Betania dove era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse <<figlio di Davide, abbi pietà di me>>. Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dove era la tomba, e subito dalla tomba si udì giungere un grande grido. E avvicinandosi Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare, e la sera il giovane venne a lui portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull’altra sponda del Giordano.






    La Profetessa Anna


    La teologa Anna, figlia di Federico II di Svevia e Gladis de Termes, nata a Foggia nel 1235 e morta a Palermo nel 1312, Capo Spirituale, Vescovo (Avesque in lingua d’Oїl) dell’Ecclesia Dei, la Chiesa Divina Cristiano-Gnostica, anima eletta, consegnava ai discendenti il suo trattato di teologia Il Principio.



    Il Principio

    Il Padre Nostro è i Cieli, essi sono Eterni e non hanno principio, non hanno fine. Dai Cieli il Padre prese il seme e lo gettò sulla terra. Nei secoli ha prodotto i suoi frutti, i mortali. Essi hanno sempre anelato alla perfezione del Creatore nella ricerca della Verità. Quando il Padre non avrà più segreti per i figli, per il loro spirito e la loro anima, questi saranno un tutt’uno col loro creatore. Il cerchio si chiuderà sarà l’inizio di un nuovo Principio.



    Questo stralcio de Il Principio di Anna, ispirato ad un puro monoteismo gnostico fu scritto in chiaro contrasto con quello dei Due Principi edito nella stessa epoca e fondato sulla dottrina dualista. Gli antenati della profetessa gnostica, perseguitati, avevano trovato rifugio in terra italiana, come i loro avi, gli antichi ebrei, esuli dalla Giudea, che nel corso del primo secolo d.C., erano emigrati nel territorio, a cui sarà dato successivamente il nome di Linguadoca, nel Sud dell’attuale Francia. Nel secolo XIII, parlavano il lingua d’Oїl, fiorivano gli artisti ed i poeti; un popolo libero con alti valori, improntati alla parità di diritto, alla libertà spirituale e civile, all’amore, quello divino, aborrivano la violenza e la forza materiale. Il loro Vescovo era soprannominato il Guardiano o Custode del Graal: il calice dell’ultima cena di Cristo, la sacra tazza di pietra del casato davidico, che portava scalfito il leone rampante, l’emblema della Tribù di Giuda. La comunità catara, in cui erano inseriti, rappresentava un serio pericolo per il potere temporale della Chiesa di Roma, ed il Papa Innocenzo III organizzò una “crociata” per distruggere quella civiltà che non ha avuto più uguali in tutto il bacino del Mediterraneo. Ma essi, ancora esuli e perseguitati, conservavano nel tempo tradizioni, cultura, i loro rituali, con serena rassegnazione e grande dignità, che tramandavano nel corso dei secoli, generazione dopo generazione, ai loro discendenti. Dalla stirpe della veggente è nato l’ultimo rampollo, il capo spirituale dei nuovi gnostici, il Custode del Sacro Graal.





    Storia e cenni della stirpe messianica



    David, secondo il calendario costantiniano, regnò su Israele dal 1048 al 1015 a.C. . Costantino il Grande, imperatore di Roma, nel 314 d.C. diede vita al nuovo calendario, spostando la data della nascita di Gesù al 25 dicembre; il Natale andava a sostituire l’antica festa pagana del Sole. Gesù Cristo (dal greco “Re”), il Messia (“l’Unto”), era nato – formalmente – dal matrimonio di Giuseppe, legittimo erede davidico al trono di Gerusalemme, con la giovane Maria, il primo di marzo dell’anno di grazia 7 a.C. ed era stato registrato dopo sei mesi, il 15 di settembre nel rispetto delle usanze della casa reale. Il biondo David, dagli occhi belli color del cielo e dal fiero aspetto, era discendente della stirpe di Abramo, Isacco e Giacobbe, conosciuto anche con il nome di Israele. Da Giacobbe erano nati dodici figli, tra cui i più noti Giuda, Giuseppe e Beniamino. Giuseppe o Yuia divenne ministro del faraone Tuthmosis IV intorno al 1410 a.C. . Giuda, soprannominato per la sua forza, il Leone, diede origine alla Tribù con il nome di Giudea. Intorno al 1050 a.C., sotto il regno di Saul, David di Betleem, figlio di Isai o Iesse, discendente da Giuda, al comando dell’esercito reale conquistò tutto il territorio della Giudea. Sposò la figlia di Saul e divenne re di Giuda e Israele regnando su tutti gli abitanti di quel paese. In un primo tempo era stato consacrato re di Giuda ed in epoca successiva regnò su tutto il territorio israeliano, unto ed incoronato dagli anziani delle Tribù ebraiche. Conquistò Gerusalemme e ne fece la capitale del regno. Procreò numerosi figli, il primogenito fu chiamato Amnon. Dalla sua unione con Betsabea nacque Salomone o Shelomon o Iedidia, il figlio prediletto. Questi, per volontà paterna, fu consacrato Re, unto dal Sommo Sacerdote Sadoc. Salomone, dopo l’incoronazione si presentò al popolo sul dorso di una mula. L’usanza voleva che il re Messia si mostrasse in pubblico con regalità, mista ad umiltà, a dimostrazione di essere al servizio dei sudditi. Salomone subentrò a David dopo la sua morte, consolidando il regno di Israele. Sposò la figlia del Faraone d’Egitto. Fece edificare a Gerusalemme un tempio a Dio, dove venne collocata, in un santuario, l’Arca dell’Alleanza. Recintò la città Santa con mura e costruì la propria reggia, in cui pose un trono d’avorio rivestito in oro. I discendenti di David per tradizione venivano “unti” onde l’appellativo di stirpe messianica. I “Messia legittimi” al trono di Gerusalemme furono, in successione; Roboamo, Abia, Asa, Giosafat, Soram, Ocozia, Joash, Azaria, Jotam, Ahaz, Ezechia, Manasse, Amov, Giosia, Jocaz, Joiachim, Jioiachin, che fu esiliato dal tirannico conquistatore Nabucodonosor nel 535 a.C. circa, a Babilonia, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme. A Jioiachin subentrò Sedecia, poi Salatiele, Pedaiah, Zerubabele, Rhesa, Joanna, Giuda, Giuseppe, Semei, Mattatia, Maath, Nagge, Esli, Naum e così via sino a Levi, Matthat, Eli, Giuseppe e Gesù. Lo stemma della real casa di Giuda portava scalfito il leone rampante. Dopo la conquista e la distruzione di Gerusalemme, Nabucodonosor aveva condotto a Babilonia insieme allo sconfitto Jioiachin, una miriade di giudei di alto lignaggio. Tale esilio durò fino all’epoca in cui Ciro divenuto re di Persia, graziò gli ebrei e diede il consenso per il loro ritorno in terra natìa.



    Erode, non essendo discendente da David, era considerato un usurpatore. Il suo governo fu improntato al dispotismo, tirannia e libertinaggio, forte dell’appoggio di Roma. La popolazione oppressa aveva la necessità di un Messia, che la liberasse dal giogo romano e ne attendeva, con ansia, l’avvento. Il primo marzo del 7 a.C. veniva alla luce, dall’unione – formale – di Giuseppe, discendente della Tribù di Giuda e legittimo erede al trono d’Israele, con Maria, il loro figlio primogenito Gesù (in ebraico Yehoshua), per diritto ereditario futuro Re Messia. Come ogni dinastia, il casato di David aveva un codice a cui si dovevano attenere tutti i componenti della famiglia reale. Il Messia, aveva compito di difensore, protettore e servitore dei propri sudditi. Per essere consacrato ed incoronato come “Padre della Comunità”, si presentava in pubblico sul dorso di un’asina o di una mula, di guisa che anche i più poveri e derelitti potessero avere modo di interagire direttamente con il sovrano.

    Il primo ed il secondogenito della stirpe reale venivano educati, fin dai primissimi anni di vita, in un monastero, ove conviveva in alcuni periodi dell’anno anche la madre. I rampolli davidici all’età di nove anni iniziavano a frequentare la scuola e dopo tre anni erano considerati, con linguaggio esoterico, “rinati” o “iniziati”. All’età di sedici anni il primogenito veniva proclamato principe ereditario, con il rango di Josef Rama Teo (Giuseppe d’Arimatea, “rama” e “thea”, “Altezza Divina”) ed andava a sostituire nella carica il fratello del padre. L’erede al trono era obbligato a prendere moglie onde dare continuità alla stirpe e doveva generare almeno due figli maschi.

    Il matrimonio reale era improntato a vita casta ad eccezione dei periodi in cui si doveva procreare.

    Il fidanzamento dinastico durava a lungo; nel corso del mese di settembre si celebrava un primo matrimonio con l’obbligo di astinenza sessuale, fino al mese di dicembre. Nel caso in cui la donna restava gravida, dopo sei mesi si celebrava un secondo matrimonio, il definitivo. La sposa, che poteva anche far parte di un ordine sacerdotale era obbligata durante il banchetto nuziale a servire allo sposo una particolare pozione con unguento aromatico e odoroso, lo spigonardo, estratto da una pianta rara che cresceva solo ad altissime quote. Le mogli dei discendenti di David andavano a ricoprire il rango di “Miriam” (Maria) e potevano ungere i piedi del marito solo dopo la celebrazione del rito nuziale. La futura regina prima del matrimonio definitivo era considerata ancora un’almah, ossia una giovane donna vergine, e durante i lunghi periodi di astinenza sessuale, con gergo esoterico, chiamata “vedova”.

    I discendenti davidici della Tribù di Giuda il “Leone” non detenevano, per tradizione, alcuna carica sacerdotale ereditaria. Tali privilegi, per diritto dinastico, spettavano ad altre Tribù ebraiche. Nella massima gerarchia ecclesiastica il Sommo Sacerdote era soprannominato Sadoc o Arcangelo Michele o Padre, seguiva l’Abiatar o Arcangelo Gabriele o Figlio, indi il Levi o Raffaele o Spirito, seguito dai Sacerdoti Anziani e della Somma Sacerdotessa. Il Re Messia, il principe ereditario e gli altri componenti della famiglia reale di ambo i sessi potevano essere ordinati sacerdoti, ma non era un diritto dinastico. Il clero aveva facoltà di contrarre matrimonio con l’obbligo, durante il periodo della procreazione, di affidare il proprio ministero ad altro sacerdote che lo seguiva nella gerarchia ecclesiastica.



    L’idmueo Antipatro, che era stato nominato da Giulio Cesare governatore del territorio giudaico, era stato assassinato e suo figlio Erode, che reggeva la regione della Galilea, venne convocato a Roma, dove ricevette la nomina a Re di tutte le province ebraiche (Galilea, Samaria e Giudea). Considerato dal popolo un usurpatore e un tiranno, regnò con dispotismo e il suo governo fu costellato da crocifissioni ed orrende stragi. Il trono spettava, per diritto dinastico, al legittimo discendente di David, il re Messia Giuseppe. mariatempioEgli aveva sposato una giovane almah, figlia dei nobili Anna e Gioacchino, che, come da tradizione, aveva assurto al rango di Miriam. Era anche una delle sette sacerdotesse del Tempio di Gerusalemme. La domenica del primo marzo del 7 a.C. venne alla luce il primogenito “Figlio di Dio” , il piccolo Gesù o Yehoshua, futuro legittimo erede al trono di Gerusalemme. Nacque prima del tempo e quindi fu considerata disobbedienza formale alle regole dinastiche. Giuseppe si trovava a disagio considerando il retroscena della venuta al mondo di Gesù, dato il rischio concreto che il futuro Messia potesse essere considerato illegittimo. Ma il Sommo Sacerdote l’Abiatar o Arcangelo Gabriele, secondo nella gerarchia clericale solo al Sadoc o Arcangelo Michele, diede il consenso al parto. Dopo la nascita Gesù fu “legittimato” proprio dall’Arcangelo Gabriele, che a quel tempo era Simeone l’Esseno, e ne diventò il “figlio” spirituale. Erode (Il Grande) muore nel 4 a.C. e gli succede Erode Antipa nella carica di Tetrarca di Galilea. Sei anni dopo la nascita di Gesù, da Giuseppe e Maria (?) nacque Giacomo (1 a.C.), poi Iose, Anna, Giuda e Simeone . Giuseppe moriva nel 23 d.C., e Gesù diviene il Re Messia, l’Unto, mentre Giacomo andava a rivestire il rango di principe ereditario, di Josef Rama Theo, lo stesso Giuseppe che andò a chiedere la consegna del corpo di Gesù affinché potesse occuparsi personalmente della sua sepoltura. All’epoca in cui Gesù divenne il Messia d’Israele, come discendente di Antipatro si aveva il governatore Ponzio Pilato a Roma, sotto il regno di Tiberio Cesare.



    Gesù era un ebreo ellenista, di idee liberali, faceva parte della comunità essena e sovrintendeva l’Ordine dei Nazareni o Custodi dell’Alleanza di Qumran; in quella società le donne erano emancipate ed inserite a pieno titolo anche nel clero. Pertanto, il Messia non si trovò soltanto a fronteggiare il regime, ma anche il Consiglio degli Anziani Giudei, il Sinedrio, la massima autorità civile e religiosa del popolo ebraico, nonché i nazionalisti, conservatori farisei e sadducei. Vennero così da lui scelti, tra i sudditi più fedeli e qualificati, ottanta collaboratori col ruolo itinerante di messaggeri e delegati e dodici di loro, gli apostoli, andarono a costituire il nucleo più vicino al loro sovrano senza trono. Un vero e proprio consiglio dei ministri in clandestinità.



    Siamo nel 29 d.C. ed il legittimo governo davidico non era stato costituito. La comunicazione tra gli apostoli ed i messaggeri si effettuava con un linguaggio particolare, connotato da epiteti esoterici, simbologie in uso solo nella comunità essena ed incomprensibile agli invasori. Ciò allo scopo di non insospettire e non generare reazioni violente da parte del nemico. Anche i soprannomi degli apostoli avevano sfondo simbolico. Il consiglio dei dodici era composto da Simon Pietro ed Andrea, dai figli di Zebedeo Giacomo e Giovanni, dal figlio di Alfeo, Taddeo Lebbeo, ed ancora dai fratelli Giacomo o Gionata Anna e Matteo o Levi, da Filippo, da Bartolomeo o Giovanni Marco, da Tommaso, da Giuda Iscariota e da Simone Zelota, detto anche Lazzaro (di Boeto, fratello di Maria di Boeto e Marta di Boeto, i “di Betania”), originario della Samaria e capo supremo di tutti gli zelotes ebrei, detto il “lebbroso” quando venne scomunicato. La zelota era un’organizzazione diffusa in tutto il territorio giudaico che reclutava tra le sue fila adepti che giuravano fedeltà all’associazione, con il fine di difendere il popolo dai soprusi e dagli oppressori stranieri. In ogni agglomerato urbano vi era un nucleo agli ordini di un sacerdote. Il capo supremo era soprannominato “Padre Mago” (da cui anche i Magi), il suo vice “figlio del padre o Barabba” (da cui il brigante), gli altri capi territoriali “figli del figlio”. Considerati dal regime sovversivi e terroristi, venivano definiti per l’appunto “briganti”.





    Maria “Maddalena” di Betania

    I primi testi cristiani descrivono Maria Maddalena come la donna che conosceva il Tutto; era Colei che “Cristo amava più di tutti i discepoli”. Era l’apostola “di una conoscenza, una visione e una percezione superiori a quelle di Pietro”; ed era la sposa diletta che unse Gesù al Sacro Matrimonio (Hieros Gamos) a Betania. E’ possibile che nacque come Maria di Boeto, da Simone di Boeto, e che fu la terza moglie di Erode il Grande, dalla quale ebbe un figlio, Erode Filippo, poi diseredato a causa della “cospirazione” di morte contro di lui. Per questo motivo divorziò e fuggì. Dal 4 a.C. sparisce e Flavio Giuseppe non la menziona più in alcun modo. Nel Nuovo Testamento Maria Maddalena viene menzionata per la prima volta quando i Vangeli raccontano la storia della sua resurrezione come figlia di Giairo nel 17 d.C.. Essere “resuscitata” (simbolicamente, dalle tenebre eterne) si riferiva o alla promozione ad un rango più elevato all’interno della “Via” o, come abbiamo visto, alla revoca della scomunica che era una morte spirituale. Il termine viene usato ancora oggi nella Massoneria. Tuttavia, giacché le donne non venivano scomunicate, nel caso di Maria si trattava chiaramente di una iniziazione rituale o, forse, della rinascita dopo “un eventuale divorzio”. Le prime “resurrezioni” per i ragazzi avvenivano all’età di 12 anni e per le ragazze a 14. Posto che Maria fosse stata resuscitata dalle tenebre nel 17 d.C., ciò significa che era nata nel 3 d.C. Aveva quindi nove anni meno di Gesù in questa nuova vita e quando lo sposò per la prima volta nel 30 d.C., ne aveva 27. Essendo rimasta incinta nel dicembre del 32 d.C., Maria Maddalena aveva “30 anni” all’ epoca del suo Secondo Matrimonio e durante quell’anno (33 d.C.) diede alla luce sua figlia Tamar. Quattro anni dopo diede alla luce Gesù il giovane e nel 44 d.C., quando aveva “41 anni”, nacque il suo secondogenito, Giuseppe. A quel tempo Maria era a Marsiglia (Massilia), dove la lingua ufficiale era il greco fino al v secolo.

    Il nome completo di questa Maria era Sorella Miriam Magdala, nota comunemente come Maria Maddalena. Gregorio I, vescovo di Roma (590–604) e, a San Bernardo, l’abate cistercense di Chiaravalle (1090-1153), confermarono entrambi che Maria di Betania era sinonimo di Maria Maddalena. Nella seconda occasione in cui Gesù fu unto con lo spigonardo, in 05casa di Simone il lebbroso, Giuda Iscariota si dichiarò insoddisfatto di come andavano le cose – perché la Maddalena e Gesù avevano contratto il primo matrimonio -. A differenza della maggior parte delle altre donne del Nuovo Testamento, è da notare che in ogni caso Maria Maddalena non viene mai definita per il tramite di un uomo («figlia / sorella / moglie / madre di …») probabilmente, per il fatto che fosse proprio la Maria di Boeto, ex sposa di Erode il Grande dalla quale fuggì. All’epoca di Qumran, Maria non era un semplice nome ma un titolo di distinzione, essendo una variazione di Miriam (il nome della sorella di Mosè e Aronne).



    Le Miriam (Marie) partecipavano ad un ministero formale all’interno di ordini spirituali come la comunità ascetica dei Terapeuti. Maria Maddalena viene prima descritta come una donna “dalla quale usciranno sette demoni” (Luca 8:2) e , più avanti, lo stesso Vangelo dice che era “una peccatrice”. Ma, oltre a ciò, viene ritratta in tutti i Vangeli come una leale compagna preferita da Gesù. Prima del matrimonio, le Marie erano soggette all’autorità del capo degli scribi che, al tempo di Maria Maddalena era Giuda Sicariota. Il capo degli antichi scribi era anche il demone sacerdote Numero 7, e i sette “Sacerdoti demoni” costituivano un gruppo formale di opposizione ai sacerdoti che rappresentavano le “sette luci della Menorah” (il candelabro a sette bracci). Avevano il compito di sorvegliare le donne nubili della Comunità. Come accennato, il suo non era un matrimonio qualunque e Maria fu soggetta a lunghi periodi di separazione dal marito, in cui veniva non considerata come moglie ma come sorella (in senso religioso, come una monaca). Nella sua qualità di sorella, Maria era addetta al Padre (Mago), Simone Zelota (Lazzaro). La differenza fra le Marte e le Marie era che le prime avevano il diritto di possedere beni e le seconde no.



    Un’opera di Jacopo di Varazze “Legenda” parla di Santa Marta di Betania e di sua sorella Maddalena. Quanto segue è il sunto in lingua moderna. Santa Marta, ospite del Signore Gesù Cristo, era di famiglia reale. Suo padre si chiamava Siro e sua madre Eucaria; il padre veniva dalla Siria. Come erede della madre insieme a sua sorella, Marta entrò in possesso di tre proprietà: il castello Maddalena, Betania, e parte di Gerusalemme. Dopo l’Ascensione di Nostro Signore, quando i discepoli se ne furono andati, lei, suo fratello Lazzaro e sua sorella Maria, e anche San Massimo, s’imbarcarono su una nave che – grazie alla protezione di Nostro Signore – li portò sani e salvi a Marsiglia. Da lì si recarono nella regione di Aix, dove convertirono gli abitanti alla fede. Il culto più attivo della Maddalena s’insediò infine a Rennes-le-Chateau nella regione della Linguadoca.





    Il silenzio su Lazzaro

    La soppressione della storia di Lazzaro è il motivo per cui i resoconti nei Vangeli di Marco e Matteo sono ubicati in casa di Simone il lebbroso e non in casa di Lazzaro come nel Vangelo di Giovanni, ma si tratta sempre dello stesso. Attorno al 32 d.C. gli apostoli Simone lo Zelota (Eleazaro/Lazzaro), Taddeo, e Giuda Iscariota avevano capeggiato una insurrezione armata dei loro zelotes contro il regime. Simone, il Padre Mago (sempre Eleazaro/Lazzaro), in questo periodo rivestiva, nella gerarchia ecclesiastica, la carica di Sommo sacerdote Sadoc o Arcangelo Michele o Padre e secondo la tradizione giudaica venne desistito dalla carica sacerdotale e scomunicato, quindi considerato “spiritualmente morto”. Dalle fonti, fu recluso a Qumran, nel sepolcro detto anche Seno di Abramo. Nel frattempo, ad Erode Agrippa era subentrato Erode Antipa, che, in quel periodo, entrò in conflitto con i romani. Pertanto, graziò il recluso, lo rimise in libertà e gli fece “togliere” la scomunica proprio da Gesù, che ancora non deteneva alcun ruolo sacerdotale, contravvenendo alla legge ebraica, che prevedeva la revoca della scomunica, solo, per intervento del Sadoc, il Sommo Sacerdote. Poiché la scomunica, a tutti gli effetti, era considerata “morte spirituale”, Gesù, di conseguenza, aveva “resuscitato da morte” Simone Eliezero (Lazzaro).



    Il grande grido che venne sostituito da Gesù che grida a gran voce nel Vangelo di Giovanni, cambia tutto il senso della vicenda. Nel Vangelo Segreto di Marco, si sente provenire un urlo dal sepolcro. Nel Vangelo di Giovanni, è Gesù che a gran voce grida «Lazzaro, vieni fuori!»



    Nel ridare a Lazzaro la vita (spirituale), Gesù aveva suo malgrado ottenuto l’evento cardine che lo avrebbe condotto al termine e, con questo gesto clamoroso alle spalle, gli rimaneva soltanto di essere formalmente unto e di mostrarsi al popolo come il legittimo Messia in modo che lasciasse poco spazio alle dispute. Come il Messia avrebbe ottenuto tale riconoscimento era stabilito da lungo tempo, giacché era stato profetizzato da Zaccaria nel Vecchio Testamento (9:9): “Festeggia grandemente, o figlia di Sion; giubila, figlia di Gerusalemme”.





    Giuseppe e Maria, la Vergine


    <<maria è vergine perché così ha voluto Dio» (E. Peretto, Percorsi mariologici nell’antica letteratura cristiana, Lev 2001, p. 259).

    Recentemente, i Codici di Nag Hammadi hanno portato alla ribalta alcuni Vangeli, fra cui quelli di Filippo, di Tommaso e di Maria (Maddalena). In alcuni casi i contenuti di singoli fascicoli coincidono con brani del NT, ma in vari casi differiscono, a volte in modo significativo. E’ di particolare interesse il fatto che il Vangelo di Filippo affermi: Alcuni dicono che Maria concepì per mezzo dello Spirito Santo. Sbagliano. Non sanno quello che dicono.



    Origene, riteneva che Il Protovangelo di Giacomo, fosse stato scritto da Giacomo, il fratello di Gesù. Questo antichissimo testo cristiano racconta che Maria era una delle sette monache del Tempio di Gerusalemme, un’ almah consacrata. A tutti i fini pratici, alla luce di questo, è giusto (sebbene ambiguo nel senso moderno del termine) dire che una vergine concepì e dette alla luce un figlio. Potrei congetturare che Salomè potesse essere una delle sette monache del Tempio e che , per tale ragione, Maria la considerasse sua sorella.



    Potrei anche avanzare l’ipotesi che , per via della sua raffigurazione con copricapo differente dal velo, fosse una persona vicina a lei durante la crescita e, per questo considerata sorella per via di Anna. Ci sono dubbi circa la paternità effettiva di Giuseppe.



    Tutto considerato, la divinità di Gesù viene rappresentata in senso figurato negli altri Vangeli, mentre la sua discendenza umana da Davide (“secondo la carne”) viene costantemente enunciata come un dato di fatto. Gesù apparteneva alla stirpe davidica, com’è confermato in numerose occasioni nel NT, attraverso Giuseppe anche se lo definisce “amico”, al contrario di Maria che è “sua madre”. E così persino in Luca 1:32, malgrado il precedente accenno alla verginità fisica di Maria e all’intervento di agenti divini, giacché il Vangelo afferma effettivamente che “il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre”. Generalmente, Gesù si definiva “Figlio dell’Uomo” (es. Matteo 16:13). Quando il sommo sacerdote gli chiese se fosse in verità il figlio di Dio, Gesù rispose: “Tu l’hai detto”, intendendo che era stato il sacerdote a dirlo e non lui (Matteo 26: 63-64). Rispose in termini praticamente identici anche in Luca (22:70): “Sei tu dunque il Figliolo di Dio? Ed egli disse: Voi lo dite”. L’appellativo era in diretto rapporto con la struttura “angelica”. Come principale rappresentante del popolo, il dinasta davidico non era legato al sacerdozio. La stirpe reale di Gesù discendeva in definitiva dalla tribù di Giuda e non deteneva alcuna carica ecclesiastica ereditaria: tutti quei diritti erano riservati all’Ordine di Aronne e alla tribù di Levi. Invece l’erede davidico – a quest’epoca, Gesù – aveva un legame laico con la gerarchia angelica quale figlio spirituale dell’Angelo Gabriele (il sottordine di Michele) . Il nome Gabriele significava “Uomo di Dio” (dall’ebraico Gebri-El) e nella raffigurazione delle Creature Viventi contenuta nel AT (Ezechiele 1:10)Gabriele rappresenta la categoria dell’Uomo. Quindi, Gesù era Figlio dell’Uomo (di Dio).



    Giuseppe, l’anziano sposo di Maria, era a sua volta fratello di Ruben e Levi, assieme agli altri fratelli e, pertanto, figlio di Giacobbe. La storia di Giacobbe si intreccia con quella del figlio prediletto Giuseppe. Quando quest’ultimo, dopo essere stato venduto dai fratelli, divenne attorno al 1040 a.C. ministro del faraone Tuthmosis IV, fece trasferire le Tribù di Israele, e Giacobbe stesso, in Egitto per salvarli dalla lunga carestia, apparsa in sogno al faraone, sotto forma di 7 vacche magre – sogno che Giuseppe interpretò.


    A vent’anni, Giuseppe il pastore di Canaan, sposò Aseneth (ebraico ‘Āsĕnath: i Settanta ‘Ασε[ν]νέϑ; la Vulgata Aseneth), la figlia di Potifera (Putifare) sacerdote di On, a cui partorì Manassé ed Ephraim (Genesi, XLI, 45-52). E’ errato vedere in questa coppia lo sposalizio “in codice” di Gesù e Maria Maddalena. Non si tratta della fonte dove ricollegare l’evento. Nel Protovangelo di Giacomo Giuseppe specifica che in passato, da giovane aveva avuto altri figli. E’ lo stesso uomo, e il lungo lasso di tempo lascia trapelare che si trattasse di persone prescelte nella storia di Israele e, pertanto, non possono accomunarsi al livello dei comuni mortali. Né unirsi con loro, essendo tutti parte di uno schema che andava a definire una discendenza messianica di tale importanza; ecco perché queste persone erano tutte di alto rango e circoscritte, ed ecco perché è possibile risalire alle loro parentele che risultano intersecate nel tempo, nonostante l’abbondante millennio che li vedrebbe vivi. Giuseppe muore appena è tempo per l’altro Messia , ovvero quando il suo compito nel grande disegno volge al termine, chiedendo di essere seppellito in Egitto. Il suo compito è stato quello consentire a Gesù, al Figlio di Dio, di ereditare la discendenza Messianica.



    In Genesi (XLI, 45) si narra che il Faraone diede a Giuseppe “in moglie Aseneth, figlia di Potifera, sacerdote di On”. Su questo fatto gli antichi Ebrei ricamarono non poche leggende; una delle più graziose ci è stata conservata nel Libro della preghiera di Aseneth. Una seconda parte narra la presentazione di Aseneth a Giacobbe quando il patriarca viene in Egitto con i suoi figli, e il tentativo del figlio primogenito di Faraone di rapire Aseneth coll’aiuto di Dan e di Gad. Ma Beniamino, Simeone e Levi la proteggono, e il figlio del Faraone, ferito nella mischia, muore. Anche il Faraone muore, e Giuseppe diventa re d’Egitto.





    La prole di Gesù


    Nel mese di giugno dell’anno 30 d.C. era iniziato il periodo del fidanzamento dinastico con Magdala, Sacerdotessa e Superiora delle nazaree dell’Ordine di Dan, che assumeva, come futura regina, il rango di Miriam (Maria) e quindi è meglio conosciuta con il nome di Maria Magdalena. Circa tre mesi dopo era stato celebrato il loro matrimonio e la sposa aveva unto i piedi al sovrano coniuge nella casa di Simone. Poiché Magdalena non era rimasta incinta durante il periodo previsto dal codice reale, né in quell’anno né nel corso del successivo, bensì solo dopo tre anni, il matrimonio definitivo si celebrò nel marzo del 33 d.C., quando era già gravida di tre mesi. Fu lo stesso anno in cui Gesù entrò a Gerusalemme sul dorso di un’asina. Tutti gli ebrei nazionalisti e conservatori si opposero al tentativo del Messia di fare d’Israele una nazione unita, nella quale fossero compresi i gentili, i proseliti e gli altri gruppi analoghi di origine non ebraica. Dopo sei mesi nasceva una femmina, a cui venne dato il nome Tamar. Secondo le regole dinastiche, dopo la nascita di un neonato di sesso femminile, la regia coppia doveva attendere tre anni prima di tentare una nuova gravidanza e nel caso in cui fosse venuto alla luce un maschio vi era l’obbligo di attendere ben sei anni. Nel dicembre del 36 d.C. Gesù riprese il rapporto sessuale con la moglie e nel 37 d.C. veniva alla luce il primo figlio maschio, a cui venne dato il nome Gesù. Nel 46 il suo primogenito Gesù, di nove anni, andò a scuola a Cesarea. Tre anni dopo, celebrò il rito della Seconda Nascita in Provenza. Secondo l’usanza, era rinato simbolicamente dal grembo materno all’età di 12 anni: il suo “Primo anno” da iniziato. Alla cerimonia era presente suo zio Giacomo (Giuseppe d’Arimatea), che poi condusse il nipote nell’Inghilterra occidentale per un periodo. Nel 53 d.C. Gesù junior venne proclamato ufficialmente principe ereditario della sinagoga di Corinto e ricevette puntualmente il titolo di “Justus” che gli spettava, come principe ereditario davidico. Succedette così a suo zio, Giacomo il Giusto, come erede della corona reale. Quando compì 16 anni, Gesù Giusto divenne anche capo nazareno e come tale ebbe diritto di indossare la veste nera, come quella che portavano i sacerdoti di Iside, la Dea Madre Universale. Nel 43 d.C. Maddalena rimase di nuovo incinta e fu l’ultimo periodo di Gesù e, nel corso dell’anno seguente, partorì in terra straniera, ove si trovava in esilio, il secondogenito che prese il nome di Giuseppe.



    Il culto di Maria di Cleofa. Per completare

    E’ molto complesso risalire alla storia di questa figura mariana. Tuttavia, estendendo il proprio sguardo e spostandosi in Inghilterra, si riesce a comprendere che la sua derivazione è antica. Quindi, Maria di Cleofa, moglie di Zebedeo, rappresenta l’Anziana nella simbologia triplice di Maria. Una piccola carrellata di rimandi. L’epoca medievale è stata spesso indicata come il periodo che vide fiorire la “Merrìe England” , la dolce Inghilterra. La descrizione derivava dal fatto che Mary Jacob (Santa Maria La Zingara) era venuta in Europa nel 44 d.C. assieme alla Maddalena e, accanto al culto per quest’ultima, quello di Maria La Zingara era largamente diffuso durante il Medioevo in Inghilterra. Santa Maria Jacopa (moglie di Cleopa secondo Giovanni 19:25), era una sacerdotessa del I secolo e, a volte, viene chiamata Maria L’Egiziana. Il suo Giuramento Matrimoniale si chiamava il Merrìe, derivato in parte dal nome egiziano Mery (che significava “beneamato”). Da qui , probabilmente, deriva il verbo inglese marry (sposare). Al di fuori della dottrina cattolica, si riteneva che lo Spirito Santo fosse femmina ed era sempre associato all’acqua. Spesso raffigurata con una coda di pesce, Santa Maria era l’originaria merrìmaid (sirena), e le venne dato l’attributo di Marina. E’ ritratta accanto a Maria Maddalena (La Dompna delAquae) in una finestra della chiesa di St. Marie a Parigi. Agli albori del cristianesimo, Costantino bandì la venerazione di Maria la Zingara, ma il suo culto continuò e fu introdotto in Inghilterra dalla Spagna. Maria (Cleofa) Jacopa era sbarcata a Ratis (poi , Saintes Maries de la Mer) insieme a Maria Maddalena (Elena) Salomè, come descritto negli Atti della Maddalena e dell’antica Storia ms d’Inghilterra conservata negli archivi del Vaticano. Il suo emblema più significativo era la conchiglia di pettine, dipinta efficacemente insieme alla sua immagine in veste di Afrodite nella Nascita di Venere del Botticelli. Sacra prostituta e cultrice dell’amore, veniva raffigurata ritualmente dagli anglosassoni come “Regina di maggio” e i suoi danzatori, Mery’s Men, celebrano ancora i loro riti sotto il nome deformato di “Morris Men”.



    Le Tre Marie. Vergine, Madre, Anziana.


    A qualcuno potrà sembrare strano, ad altri sconvolgente. Ma sembra proprio che Dio, “El”, il Dio-maschio-unico delle religioni della nostra tradizione recente avesse una moglie…prima di diventare il dio-maschio-unico, in tempi più antichi, quando gli uomini sapevano cos’era l’equilibrio.

    El e Asherah. Ai suoi “esordi” essa è conosciuta dalla popolazione degli Ungarit come Nostra Signora Athirat dei Mari, più comunemente tradotto come Colei che cammina sul mare. Una altro dei suoi attributi è La generatrice degli Dei. E’ infatti detto che essa abbia generato 70 figli, guarda caso gli stessi 70 figli di El (Dio). Essa è conosciuta anche come Elat, che significa semplicemente Dea ed è il femminile del termine El. Tra gli ittiti è nota come Asherdu, ed è la consorte di Elkunrisa, nome ittita/ungarico che deriva da El-qan-ashra: El Creatore della Terra. Asherah (identificata anche come Ishtar , Astarte in tempi e luoghi diversi) è la Grande Madre Semitica. Nella Bibbia, il libro di Geremia la identifica come La Regina dei Cieli. I collegamenti di Maria al mare sono molteplici, anche nella stessa traduzione del nome. Il problema di riferirsi a El (o in seguito Yahweh) e Asherah come a una “coppia divina”, risiede nel fatto che notoriamente una coppia che pro-crea, lo fa attraverso la pratica del sesso. Le associazioni della Grande Madre Semitica alla Grande Madre e quindi alla sua simbologia triplice, richiama la simbologia delle Tre Marie; Vergine, Donna, Anziana. Per gli antichi Egizi, Iside era la sorella-sposa di Osiride, fondatore della civiltà e giudice delle anime dopo la morte. Iside era la Dea Universale, in particolare una materna protettrice, e il suo culto era molto diffuso: Veniva spesso ritratta con in braccio suo figlio Oro, e la sua immagine ricorda quella della Vergine col figlio Gesù. E’ un fatto ormai assodato che la “Madonna Bianca” si basa sulle pitture di Iside in veste di madre che allatta. Fu sempre lei ad ispirare anche la “Madonna Nera”, di cui esistevano quasi 200 immagini in Francia nel XVI secolo. Vi sono 450 raffigurazioni in tutto il mondo, circa (ad es. l’amata patrona di Parigi, Notre-Dame de Lumière, trae origine dalla Madre Universale). In generale, le fedi che si opponevano al cristianesimo romano e che erano definite pagane ed eretiche da Roma, non erano affatto orrende o feroci o sataniche. Per la Chiesa romana, tuttavia, erano tutte queste cose perché accettavano il principio femminile insieme a quello maschile. Per i credenti gnostici, lo Spirito Santo era essenzialmente l’elemento femminile che legava il Padre al Figlio. Il cristianesimo adottò il Dio d’Israele come risultato della missione di Gesù, al pari degli gnostici e dei nazarei, le cui componenti femminili agivano liberamente come insegnanti guaritrici, evangeliste e sacerdotesse. Entro l’ambiente cristiano romanizzato, invece, ogni traccia di opportunità per le donne scomparve rapidamente.
    Una delle più importanti sette matriarcali del II secolo predicava una fede ereditata direttamente da Maria Maddalena, Marta ed Elena-Salomè e che Tertulliano denunciò così: Queste donne eretiche! Come osano! Sono tanto sfacciate da insegnare, impegnarsi in discussioni, compiere esorcismi, somministrare cure, e (forse) persino battezzare!

    Il tema della triade appare anche nelle tradizioni folkloristiche medievali cristiane — in particolare con il culto delle Tre Marie. Descrizioni delle relazioni tra la religione greca e la Dea triplice possono essere trovate in molti dei miti tradotti e pubblicati da Robert Graves nei libri I miti greci, La Dea bianca e Mammon e la dea nera. Immagini di dee triplici possono essere trovate anche in raffigurazioni paleolitiche. Le stanze del santuario di Çatalhöyük 7500 anni a.C. contengono bassorilievi di una dea in tre forme. Concludendo, le Tre Marie potrebbero essere state le tre forme rappresentative e operanti di una sola “divinità”, definita come Spirito Santo, attraverso le quali Dio si è legato alla Terra per mezzo di Gesù, il Cristo (Re), perché fu necessario un intervento che tentasse, almeno, di ricostituire la retta via nel percorso dell’umanità. Purtroppo il dominio di Roma ha stravolto completamente il senso primo del messaggio del Messia , Gesù, camuffandone il senso, sposa e prole, persino la stessa Crocefissione sulla quale sono aperti molti interrogativi circa le sue dinamiche. Vergine è, quindi, Maria la Madre; Donna, Maria Maddalena “Colei che Gesù ama”, Anziana, Maria di Cleofa. Tre donne che sono anche una cosa sola, tre parti di un unico messaggio. Tre elementi che riconducono alla Dea Universale, il femminino di Dio stesso che, in questo modo, è completo nel suo concetto di Uno. Quindi, la compensazione della parte maschile nella figura di Gesù, attraverso cui Dio discese sulla Terra, si attuò grazie alla parte femminile della stessa fonte e, pertanto, l’altro lato della medaglia.



    Discendenze di Gesù, Giacomo e i Nuovi Parenti sino alle casate dei tempi odierni.


    Per sommi capi, un breve riassunto che apre alla via sulla ricerca della discendenza della linea di sangue di Gesù e della Maddalena, giungendo alle casate attuali.
    I sacerdoti che somministravano il battesimo al tempo dei Vangeli venivano definiti “pescatori”. Dal momento in cui Gesù fu ammesso al sacerdozio nell’Ordine di Melchisedec (Ebrei,5 e Atti), anch’egli venne designato al ruolo di “pescatore”. La linea dinastica della Casa di Giuda fu così riconosciuta come una dinastia di re sacerdoti, o “re pescatori”, come i suoi discendenti divennero noti nelle storie del Graal. Le linee di discendenza da Gesù e Maria, che emersero attraverso i re pescatori, conservarono lo Spirito materno di Aix per diventare poi la “famiglia delle acque”: la Casa del Acqs. La famiglia occupava una posizione di rilievo inAquitania: una regione con un nome che basa le sue radici nelle acquae o acqs, come pure il toponimo di Dax, a ovest di Tolosa, deriva da d’Acqs. Qui, i rami merovingi che discendevano da Gesù attraverso i re pescatori divennero conti di Tolosa e Narbona e principi di Septimania (il territorio fra la Francia e la Spagna). Un altro ramo della famiglia, imparentato per linea femminile, ricevette in eredità dalla Chiesa celtica Avallon e Viviana del Acqs venne riconosciuta come Regina Suprema ereditaria all’inizio del VI secolo. In Bretagna, i membri di un corrispondente ramo maschile della Casa provenzale del Acqs divennero i conti de Léon d’Acqs, discendenti dalla nipote di Viviana i, Morgana.


    Dal XII secolo, quando Chrétien de Troyes scrisse la storia di Ywain e la Signora della fontana, in cui la “Signora” corrisponde a la Dompna del Aquae, l’eredità di Acqs si è tramandata nella letteratura arturiana. Il retaggio, che rimase al centro del tema, era direttamente collegato alle “sacre acque” associate alla Genesi, a Sophia e alla Maddalena. Nel 1484, Sir Thomas Malory nella Morte d Arthur modificò marginalmente il predicato , per mezzo dell’assimilazione fonetica, da del Acqs a du Lac, col risultato che, nella traduzione, Viviana n (Signora della Fontana e madre di Lancellotto del Acqs) divenne la Signora del Lago.


    Man mano le linee di sangue di Gesù e di suo fratello Giacomo (Giuseppe d’Arimatea) andranno sviluppandosi. Oltre ai resoconti su Giuseppe di Arimatea a Glastonbury, sono noti i legami con la Gallia e il commercio dello stagno nel Mediterraneo. Si parla di un suo imprigionamento dopo la Crocifissione, episodio descritto anche negli apocrifi Atti di Pilato. La Magna Glastonensis Tabula e altri manoscritti aggiungono che però fu graziato e, alcuni anni dopo, era in Gallia col nipote Giuseppe (secondogenito di Gesù e Maddalena), che venne battezzato da Filippo apostolo.
    Il giovane Giuseppe viene tradizionalmente denominato Josefes. “Giuseppe” (yosef in ebraico, “colui che aggiungerà”) era un titolo onorifico conferito al primogenito di ogni generazione di stirpe davidica. Quando un membro della Casa di Giuda succedeva al padre e diventava il “Davide”, il suo primogenito (il principe ereditario) diventava il “Giuseppe” (con il significato di “colui che aggiungerà” per indicare la sua condizione di erede regale). Con questa strategia anche l’esistenza del figlio Josefes di Gesù e Maria fu opportunamente mascherata in Occidente. Egli veniva generalmente raffigurato come il figlio di Giuseppe di Arimatea, o talvolta come suo nipote (cosa che, naturalmente, era). In entrambi i ruoli non costituiva una minaccia per lo schema ortodosso delle cose e in verità entrambe le definizioni della sua parentela erano fondate. Quando Gesù divenne il “Davide”, Giacomo divenne il “Giuseppe”, ma ciò cambiò appena Gesù il giovane fu in età da ereditare il titolo. Dopo la morte di Gesù il Cristo, il suo primogenito Gesù il Giusto assunse il ruolo del “Davide”, il re davidico. E Josefes, il secondogenito, divenne allora il “Giuseppe” e principe ereditario.
    Il primogenito di Gesù il Giusto, fu Galano (chiamato Alano nella tradizione del Graal). Secondo la regola del matrimonio dinastico, Gesù Giusto doveva essersi sposato nel 73 d.C.; sua moglie era una nipote di Nicodemo. La regalità davidica (che poi sarebbe stata rappresentata come Signoria del Graal) fu ufficialmente trasmessa da Josefes, ma Galano morì senza figli votandosi al celibato. Perciò l’eredità del Graal tornò al ramo cadetto di Josefes e pertanto a suo figlio Giosuè, da cui discesero i “re pescatori” (re sacerdoti).
    Verso la metà del II secolo, il re Lucio, bisnipote di Arvirago, ravvivò lo spirito dei primi discepoli in Britannia. La gente diceva che, nel far ciò, aveva “aumentato la luce” dei primi missionari di Giuseppe e quindi diventò famoso come Lleiffer Mawr (il Grande “Luminare”). Sua figlia Eurgen stabilì il primo legame fra i due principali rami della dinastia davidica, quello discendente da Gesù e quello discendente da Giacomo (Giuseppe di Arimatea), quando sposò Aminadab, il pronipote di Gesù e Maria Maddalena (discendente in linea diretta dal vescovo Josefes).


    Da qui i successivi matrimoni tra le famiglie giudaiche e le dinastie locali, incrociandosi con quella dei Franchi, avrebbero originato la dinastia merovingia. Con il crollo della potenza di Roma, anche il cristianesimo romano declinò. Gli imperatori si erano identificati con il Dio cristiano, ma avevano fallito. La loro supremazia religiosa era passata al Sommo Pontefice, ma ormai era una religione minoritaria in un ambiente dominato dagli gnostici, gli ariani, i nazareni e dall’emergente Chiesa celtica, che si rifacevano tutti a Cristo. Durante gli ultimi anni dell’Impero ormai in declino, la più grave minaccia per la Chiesa romana era costituita da una stirpe realeDesposynica in Gallia.



    Era la dinastia dei Merovingi: discendenti in linea maschile dai “re pescatori”, che corrispondevano anche a una linea di successione femminile sicambrica. Essi, venivano definiti i Nuovi Parenti (da qui Faramondo, Argotta, Clodione, Meroveo, Genobaude, Childerico, Clodoveo figlio di Basina, regina della Turingia, Teodorico, Clodomiro, Childeberto e Lotario, che amministrò da Orléans alla Borgogna, periodo di conflitti tempestosi, padre di Silgoberto e Chilperico); i re Merovingi erano dotati di conoscenze alla maniera dei Magi samaritani e credevano fermamente nel potere nascosto del favo. Siccome un favo è composto naturalmente da prismi esagonali, veniva considerato dai filosofi una manifestazione della divina armonia della natura. Era da loro venerata anche l’ape Secondo alcuni documenti segreti filtrati e arrivati tra mille traversie fino ad oggi e riportati nel libro “Dossier segreti” di Henri Lobineau, nel V secolo d.C. la Chiesa di Roma avrebbe stipulato un patto con la dinastia merovingia impegnandosi a sostenerla perpetuamente. Fino a quando la Chiesa stessa, avallando l’assassinio di Dagoberto II a Stenay, tradì la stirpe merovingia e tentò in vario modo, ma inutilmente, di sopprimere definitivamente la stirpe di Gesù. Questa stirpe invece sopravvisse tramite i carolingi e il figlio di Dagoberto, Sigisberto, tra i cui discendenti possiamo annoverare Goffredo di Buglioneche conquistò Gerusalemme nel 1099. Così i superstiti dei Merovingi si sarebbero insediati nella zona intorno a Razés e a Rennes-les-Chateaux. Sembrerebbe che da allora sarebbe celato nei dintorni di tale territorio un tesoro inestimabile, costituito da documenti inestimabili, tra i quali pergamene attestanti la genealogia e la discendenza reale e diretta del Sangue Reale Divino; Tesori che porteranno molti equivoci personaggi a girovagare nella zona. Si possono ricordare alcuni esempi, tra i quali l’agente segreto al servizio della Germania, sia nel primo che nel secondo conflitto mondiale, Georges Monti, soprannominato “il cacciatore di apogrifi”, nato nel 1880 a Tolosa, di origine italiana, trovato assassinato al numero 80 di Rue du Rocher a Parigi; Otto Rahn, anch’egli agente tedesco, appartenente alle “SS Totenkompf” (Teste di morto), che operò soprattutto nella zona di Rennes-les-Chateaux; il giovane pachistano Fakhar ul islam, trovato morto il 20 febbraio del 1967, sul tratto della linea ferroviaria Parigi-Ginevra, senza una valigetta che alcuni studiosi indicano potesse contenere incartamenti segreti relativi alla questione; Henri Buthion, un occultista che compiva ricerche sui documenti apogrifi , anche lui trovato morto dentro la sua auto crivellata di colpi; e infineGaston de Koker, Louis Saint-Maxent e Pierre Féugère, coautori del libro “Il serpente rosso”, anch’essi trovati morti tra il 6 e il 7 marzo del 1967 (Nota: vanno citati , per un quadro completo in questo approfondimento, anche alcuni rimandi necessarii riguardanti le tradizioni arturiane, Camelot, i Pendragoni, San Colomba, Merlino “il Veggente del Re”, il Re Artù storico, Modred e la Chiesa celtica, l’isola di Avalon, Morgana ma, tutto ciò meriterebbe uno studio a parte).



    Il concetto di una linea di sangue diretta da Gesù e Maria Maddalena, e i suoi ipotetici rapporti con i Merovingi – e con i loro discendenti moderni: Asburgo, Granduchi del Lussemburgo, Clan Sinclair, Stuart, Cavendish,Borbone e Borbone-Orléans – sono rintracciabili negli alberi genealogici che conducono sino all’attualità. E’ esistita anticamente e continua ad esistere una continuità tra le discendenze, anche se celata dai risvolti della storia stessa.








    Dott. Roberto Spiz per Igno-rando

    Edited by Igno-rando - 18/7/2016, 00:40
     
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  2. black_ghost
     
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    Integrazione interessante, come tutto l'artico del resto....
     
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  3. Elisabetta Martarelli
     
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    Ciao, aricolo molo dettagliato e interessante per nuovi spunti di comprensione ^_^
    Il culto di Maria di Cleofa mi ha colpito molto..
    ...molto interessante tutto :P
     
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  4. Klarissa Lucifera
     
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    Una visione concreta e reale di quale sia potuta essere la vita di Giosuè!
    Esposto molto bene e degno di nota con vari spunti sul quale soffermarsi a pensare; decisamente più valido di altri scritti trovati in rete nei vari blog.
    Buona domenica!
     
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  5. Sara Lee
     
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    E' un minuzioso articolo, di Ignorando è tra i miei preferiti, ogni tanto me lo vado a rivedere.

    Mi piace dove si parla della linea di sangue di Gesù :)
     
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  6. Elisabetta Martarelli
     
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    Ciao secondo me al di là di tutto, uomo o elihim o chicchessia il belino sempre ne sia stato dotato gli sarà inbelinato anche a lui percui a quei tempi si infilava e sbam!! Pechè quel povero belandi non dovrebbe aver procreato?
    Molto strano sarebbe stato il contrario ihihi

    Ciao
     
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    CITAZIONE (Elisabetta Martarelli @ 4/12/2016, 22:23) 
    Ciao secondo me al di là di tutto, uomo o elihim o chicchessia il belino sempre ne sia stato dotato gli sarà inbelinato anche a lui percui a quei tempi si infilava e sbam!! Pechè quel povero belandi non dovrebbe aver procreato?
    Molto strano sarebbe stato il contrario ihihi

    Ciao

    Ma è logico che sia così, in alternativa si dovrebbe ammettere l'errore millenario di Chiesa ed Impero romano circa il celibato ecclesiastico come via dell'ascetismo e si dovrebbe ammettere a livello istituzionale il peso di tanti Peccati! Decadrebbe l'istituzione e la figura istituzionale del "pastore di anime" e, pertanto, sarebbe un doppio smacco sia dal punto di vista di chi ha rispettato questa prassi pensando di fare il bene alla ricerca della via del Signore (al di là della discutibilità della quesgtione), sia dal punto di vista della buona fede manifestata dai timorati della rappresentanza di Dio attraverso la tale istituzione. Non ci dimentichiamo che la detta, per questi "principii" ed altri - sempre nel nome di Dio - conserva una violenza storica tale nell'imposizione del rispetto delle proprie leggi, che si è preferito rimuovere in massa ogni Perché! Ecco il motivo di tanto bigottismo e di quell'atteggiamento falso perbenista che molti, rappresentativi della categoria, hanno. Comportarsi secondo un preciso schema ha voluto dire, per svariati secoli, togliersi da un mare di guai, e lo stesso schema si è inevitabilmente mischiato alla vera natura umana al di là dei principi imposti, sperando o autoconvincendosi che appoggiarssi ad un modello che vorrebbe riflettere le leggi di Dio volesse dire lavarsi la coscienza da una natura egoista e superficiale!

    Ciao ^_^
     
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6 replies since 10/9/2015, 01:16   142 views
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